Cacao e importazione nuovo Regolamento UE
A partire dal 2025 un nuovo regolamento dell’Unione europea, l’Eudr, vieterà la vendita di qualsiasi prodotto derivato dalla deforestazione.
E’ da un po’ che si è acceso un dibattito politico europeo nell’ottica di un nuovo Regolamento UE per limitare l’importazione di beni ricavati dalla deforestazione. Già nominato “Deforestazione Zero”, l’ottica è quella di calibrare le politiche europee con la sostenibilità per via dei problemi climatici che riguardano il mondo intero. Ebbene, il Regolamento riguarderà principalmente i settori collegati a soia, carne bovina, olio di palma, cacao, caffè, legno e alcuni prodotti derivati, come cuoio e cioccolato.
Concentriamoci su quest’ultimo, che prendiamo ad esempio vista la rubrica della nostra esperta nutrizionista dott.ssa IADEVAIA.
Gli spagnoli, al ritorno dal Nuovo Mondo, introdussero in Europa l’uso del cacao e l’Italia fu il secondo paese europeo dopo la Spagna a scoprire l’esotico alimento. Il primo in Europa ad assaggiare il cacao fu il re di Spagna Filippo II, nel 1544: una delegazione di Maya Kekchi in visita in Spagna offrì in dono al re dei grandi recipienti di cioccolata che assaggiò e ritenne interessanti.
Ma veniamo ai giorni nostri, il cacao grezzo arriva in ITALIA trasportato nei cosiddetti “contenitori per il caffè” con ventilazione naturale. Una condizione importante per il trasporto, infatti, sia il contenitore che il rivestimento della superficie del contenitore devono avere il minor contenuto d’acqua possibile.
La Costa d’Avorio comanda la classifica dei paesi produttori di cacao al mondo. Infatti il Paese africano fornisce circa il 30% della produzione di cacao a livello globale. Dopo la Costa d’Avorio, i Paesi che producono più cacao sono Ghana, l’Indonesia, la Nigeria, il Camerun, l’Ecuador, il Brasile. Il 70% del cacao che viene poi usato nella produzione di cioccolato proviene dall’Africa.
La filiera del cacao è nota come un “caso estremo di struttura a clessidra”: agli estremi opposti ci sono i consumatori e le migliaia di piccoli e medi produttori di cacao; al centro, pochi player internazionali, solitamente enormi società di trading e di prima e seconda trasformazione, che controllano la distribuzione e trasformazione a livello globale. Le statistiche più accreditate infatti riportano stime di guadagno in termini percentuali bassissime per i coltivatori diretti, pari al 6% circa, mentre la parte restante rimane tutta appannaggio del BUSINESS che va dalla materia prima al prodotto finito. Secondo alcune inchieste condotte da The Guardian e dall’organizzazione per la difesa dell’ambiente Mighty Earth, in Costa d’Avorio i commercianti locali (middle men), che vendono alle multinazionali di cacao, acquisterebbero dai piccoli agricoltori fave di cacao coltivate illegalmente all’interno di aree protette o parchi nazionali del paese. Il prodotto illegale verrebbe poi mescolato, durante le varie fasi della filiera, con le fave di cacao prodotte legalmente. Ne risulta che molti prodotti trasformati in barrette o cioccolatini potrebbero includere cacao illegale.
Per garantire il massimo livello di legalità, la tracciabilità e la sostenibilità del cacao importato, l’UE introdurrà nuovi obblighi per tutte le aziende che importano e commercializzano cacao, tra cui l’adozione di una due diligence ferrea con standard “segregati”. Questo sia per il rispetto dell’economia e della salute, ma anche in linea alle politiche ambientali per il rispetto delle colture e produzioni. Ultimo dato risalente al 2022 pare che siano, nell’ordine, i porti di Genova, La Spezia e Vado Ligure gli approdi più importanti per l’import di cacao in Italia.
Queste informazioni risultano importanti, perché dovete sapere che la Repubblica Italiana non può vietare che i prodotti di cacao e di cioccolato cui siano state aggiunte sostanze grasse vegetali, nel rispetto dei parametri della direttiva europea 73/241/CEE, siano commercializzati in Italia con la denominazione “cioccolato”, prevedendo viceversa che tali prodotti possano essere commercializzati solo con la denominazione “surrogato di cioccolato”.
Lo ha stabilito la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sezione VI, con la sentenza 16 gennaio 2003 C-14/00, condannando l’Italia per violazione degli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 30 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE).
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